Mentre l’Europa muore, a Sochi c’è l’arcobaleno

Mentre l’Europa muore, a Sochi c’è l’arcobaleno

Timida, pro forma, pretestuosa. Insomma: europea. La polemica degli occidentali alla cerimonia di inaugurazione dei Giochi invernali disegna perfettamente la fase declinante di questa civiltà. Seguendo l’esempio del logo di Google (doodle nell’immagine in apertura), la Germania a Sochi veste completamente arcobaleno, mentre i greci calzano gli stessi colori solo sui guanti. La virtuosa potenza teutonica e il “porco” ellenico – secondo la definizione PIGS del suo rating – mostrano così il loro dissenso alla legge anti-gay varata da Putin. Il primo e l’ultimo della classe insieme, idealmente sotto braccio, attraversano con stile un po’ fru-fru i campi ghiacciati di Sochi, che nella stessa serata vedono levarsi in cielo la falce e il martello, simboli di un impero che rivendica il suo ruolo nella politica mondiale, prima ancora che una connotazione ideologica. Di qua degli Urali, invece, se ci si vuole sforzare a vedere qualcosa di simbolico, la versione “minimalista” del dissenso greco rispetto a quello tedesco sembra descrivere perfettamente le diseguaglianze interne al continente europeo: la politica di austerità imposta dalla Germania non permette ai greci un centimetro di stoffa in più. Pertanto, piuttosto che polemizzare con Putin per una legge interna, gli atleti ellenici avrebbero fatto di certo cosa più gradita al proprio popolo se, ad esempio, avessero vestito completamente di nero per ricordare a tutti – Germania in testa – il lutto per un paese ucciso dalle politiche ondivaghe dell’Unione Europea. Si aggiunga poi che ad ospitare le Olimpiadi è Sochi, una città costiera nel Caucaso a poche centinaia di chilometri da Beslan, città che la strage del 2004 ha reso drammaticamente rappresentativa del conflitto tra russi e ceceni. Esistono pertanto ragioni di scontro politico diverse dalla causa dei diritti degli omosessuali, ma solo quest’ultima è riuscita a conquistarsi l’attenzione di noi occidentali. Come mai?

Non vi sono altri argomenti: la legge anti-gay è per il vecchio consumatore europeo barbarie e nulla di più. Repubblica, perfetta cartina di tornasole delle ombre del paese, la definisce una “legge dal sapore sovietico”, salvo poi ricordare in un articolo di Limes, che secondo un sondaggio fatto in Russia quest’anno, il 73% degli intervistati si è detto d’accordo con la soppressione di ogni forma di propaganda o di difesa dell’omosessualità. Putin, dunque, ha fatto null’altro che la volontà del popolo, mentre l’Europa agita la sua canizza progressista perché in Russia venga fatta la volontà dell’omosessuale europeo. Quella massa sguaiata e banalotta ruggisce con voce da pecora ragioni che, confusa tra le sue stesse parole d’ordine, non comprende più.

Bisognerebbe dunque interrogarsi su quanto sia importante la democrazia per i nostri paesi e che posizione occupi nella scala dei valori degli occidentali. L’arroganza dell’europeo, sfoggiata solo per convenienza (alleggerisce dall’onere della prova), legge nel conservatorismo dei russi volontà corrotte dalla propaganda di stato. Ebbene, è curioso che un italiano attribuisca a sé maggiore lucidità di quanta non ne abbia un russo, che sarà pur vero che nella sua storia non ha mai conosciuto una democrazia moderna, ma che – quantomeno – non ha nemmeno mai conosciuto governi democratici che, per distrarre dai problemi sociali, inseriscono nella propria squadra soggetti scelti per questioni semplicemente biologiche (la Boldrini, come rappresentante e ultras della coppia cromosomica xx, e la Kyenge scelta dal PD e dalla Lega – con obiettivi opposti ma secondo medesima logica – in quanto nera). Un popolo la cui volontà è così arbitrariamente determinata dall’alto che a Sochi ha accettato di parlare di omosessualità prima ancora che di autodeterminazione dei popoli caucasici, argomento certamente più complesso tanto per il telespettatore, quanto per i politici che anche in Occidente non hanno interesse a sostenere le cause adottate dalla Mezzaluna.

Le bandiere arcobaleno, posate sopra agli occhi come fette di prosciutto, buone per nascondere e da mangiare, assolvono continuamente al duplice obiettivo dei governanti: unire episodicamente i popoli e farne strumento di pressione politica contro chiunque rappresenti una minaccia al tremante “Occidente”, categoria geopolitica fragile, sfumata, composta di continenti incontinenti, incapaci cioè di gestire le proprie scorie e di contrarre un solo muscolo che non sia quello del cuore. Organo di mera sopravvivenza e di emozioni deboli, effimere, televisive. Mucciniane.

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