La Grande Impresa con le tasse degli altri

La Grande Impresa con le tasse degli altri

La delocalizzazione priva il paese di quel gettito fiscale utile a finanziare la spesa infrastrutturale, che tanto giova alle aziende stesse. L’Ue, con un gesto inaspettatamente “sovranista”, ha individuato la soluzione. Bisognerebbe, però, applicarla non solo contro la Big Tech.


Secondo le ultime, approssimative, stime, l’Italia perde ogni anno 20 miliardi di euro di gettito fiscale, a causa dello spostamento della sede legale all’estero da parte di aziende italiane. È un fenomeno completamente fuori controllo, se si pensa che, alla libertà economica (garantita dalla Costituzione) che consente agli imprenditori di spostare la propria organizzazione, non vi sono limiti legali. D’altro canto, è pur vero che quelle aziende, un tempo, avevano sede in Italia e qui pagavano le tasse.

Le ragioni dello stillicidio sono ben note: una burocrazia asfissiante, ma soprattutto tasse troppo esose per imprenditori che, se non sono inseguiti (ancora) dal bisogno, lo sono dalla concorrenza e dalla sfida, sempre più difficile, dell’innovazione. Ed ecco perché i nostri imprenditori fuggono verso paesi dalle tassazioni minime: per abbattere un costo.

Oltre alle aziende italiane che delocalizzano, poi, ci sono imprese, come quelle dei servizi telematici, che – pur non nascendo italiane – in Italia trovano mercati in febbrile espansione. Spesso, approfittano dei business che nascono dalla crisi del commercio diffuso (che per natura paga le tasse nel paese in cui produce il reddito) indotta dal progresso delle comunicazioni. Anch’essi, ovviamente, stabiliscono la propria organizzazione in paesi caratterizzati da una bassa pressione tributaria, per lo più in UE.

Il mondo quindi, e l’Europa stessa, va dividendosi in due zone: una più grande, in cui si produce il reddito, e una più piccola, in cui si vanno a pagare le tasse. Posto che nella maggior parte degli stati UE non è possibile nel breve periodo (per innumerevoli ragioni) mitigare la pressione fiscale, è evidente quanto tale situazione sia iniqua: nell’UE vi sono intere nazioni che, nonostante siano efficientissimi volani di reddito per questi business, diventano autentici colabrodo finanziari, relegati al rango della “attrattività fiscale zero”.

A questi paesi, di fatto, viene a mancare progressivamente il gettito fiscale che alimenta – tra l’altro – la spesa infrastrutturale, che a sua volta è un fattore di produzione di quella stessa ricchezza privata che elude il fisco locale, in una spirale recessiva i cui risultati, in termini di erosione della struttura statale e sociale, sono sotto gli occhi di tutti.

La soluzione, compatibile col presidio della libertà economica, potrebbe essere ripensare il criterio di imputazione dei redditi, superando quello (ottocentesco) dell’imputazione personale. L’impresa non può pagare le tasse dove ha deciso di stabilire la sua sede, ma deve pagarle liddove il beneficio della struttura socioeconomica le ha consentito di realizzare quel reddito. Il criterio di imputazione dei redditi, soprattutto in vista di un’auspicabile evoluzione della fiscalità UE, dovrebbe diventare territoriale.

Ad oggi, importanti passi avanti in questo senso sono stati fatti dalla Commissione UE, con la Digital Tax (sui modelli già sperimentati in Italia e Francia) e con la bozza di Regolamento delle Criptovalute, che mettono le mani sulla scottante materia di questi “asset” immateriali, volatili e apolidi per definizione. L’approccio delle due iniziative legislative dell’esecutivo europeo, infatti, nonostante le grandi complicazioni connesse alla difficoltà di imputazione dell’obbligo dichiarativo, sembra essere proprio quello dell’ancoraggio territoriale (sia pure europeo) dei fattori di produzione del reddito. Quindi non paghi le tasse dove hai stabilito (elusivamente) la tua sede, ma dove hai prodotto effettivamente quel reddito. Una mossa inaspettatamente “sovranista” dell’UE che va tenuta d’occhio e che, possiamo certamente dire, traccia una linea da seguire nelle sfide politiche del futuro.

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