Ma quale sovranità?

Ma quale sovranità?

Ero rimasto all’8 settembre 1943, al momento apice della “morte della patria”. Poi ci si illuse che in sessant’anni di democrazia, saremmo riusciti a recuperare dignità e credibilità internazionale. Ho visto invece un filo rosso, intriso d’onta, allungarsi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale sino ai giorni nostri. Mafia, bombe, omicidi di personaggi scomodi, presunte “stragi di stato” e quella famosa strategia della tensione che per anni ha aleggiato su ciò che sin’ora è rimasto incomprensibilmente insoluto. Il prezzo della sconfitta è stato pagato con la perdita della sovranità nazionale. Quelle 113 basi NATO inchiodate su tutta la penisola che immobilizzano il territorio di una nazione in cancrena. Il continuo lanciarsi in operazioni di guerra internazionali attaccati al guinzaglio del padrone. Non posso non ricordare come nel 1999, in Kosovo, gli americani sparavano con proiettili all’uranio impoverito e gli alleati italiani, senza essere avvisati, senza alcuna precauzione, si ammalavano e morivano di cancro.

Non posso dimenticare come il nostro esercito, durante le operazioni di Enduring Freedom in Afghanistan, pagasse la guerriglia talebana per evitare di essere attaccato. La dimostrazione di come in una “guerra asimmetrica”, un popolo fiero che combatte per la propria terra, dimostri maggior valore di tanti fanti ipertecnologizzati. Siamo così entusiasti di festeggiare la Repubblica il 2 giugno con il passo dell’oca dell’esercito del nulla. Ancora non riesco a capire come lo Stato possa celebrare le proprie truppe quando non riesce a riportare a casa due marò accusati forse di omicidio nelle acque dell’Oceano Indiano, mentre scortavano una petroliera. In questi casi, il mio pensiero corre a quel dannato 1998, ai due top gun USA che tranciarono di netto il cavo di una funivia del Cermis uccidendo 20 persone. Una strage. Il governo americano prontamente riportò i piloti in patria, “degradandoli” dopo un processo farsa. A nulla valsero le lagne e il “calo di braghe” dell’allora primo ministro Romano Prodi per ottenere una parvenza di giustizia.

Tuttavia, l’unico momento di orgoglio che possa ricordare, è stato nel 1985 a Sigonella, quando con successo i carabinieri circondarono la Delta Force americana in procinto di catturare i terroristi responsabili del sequestro dell’Achille Lauro. Lì fu il pugno di ferro di Bettino Craxi contro il cowboy Ronald Reagan. Una piccola rivincita a cui vorrei aggiungere nel 2009, la stipula del Partenariato di amicizia tra Italia e Libia, un’iniziativa che ha fruttato ai due paesi diversi vantaggi economici nonché un “quasi” punto di cesura con il passato coloniale. Ma un’Italia che cammina con le proprie gambe, da sola, non è vista di buon occhio. Non si può flirtare con Gheddafi a livello economico- energetico senza il placet dello Zio Sam. Così ci accodammo alla coalizione che bombardò per giorni il suolo libico, in barba all’articolo. 4 del Trattato di Bengasi che recitava “Nel rispetto dei principi della legalità internazionale, l’Italia non userà, ne permetterà l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà, l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro l’Italia”. Sappiamo che i trattati e il diritto internazionale sono carta straccia, ma lo spirito dell’8 settembre 1943 non ci abbandona mai!

Siamo un paese senza sovranità monetaria relegato tra i PIGS perché abbiamo un’economia stretta nella morsa delle banche e del debito, imprigionato in una camicia di forza dal leviatano burocratico chiamato: Unione Europea. La stessa istituzione che ha messo a tacere la nostra residua volontà quando ci ha intimato di procedere con l’embargo contro l’Iran, di cui, fino a qualche anno fa eravamo il terzo partner commerciale mondiale e il primo tra i paesi dell’UE. Meglio non mercanteggiare con chi è una “minaccia per l’umanità”, meglio essere tra i primi venditori di armi ad Israele, potenza atomica e longa manus degli USA in Medio Oriente. Gli artefici del lager a cielo aperto di Gaza. E potrei dire la stessa cosa sull’atteggiamento mostrato in questi mesi nei confronti della Siria di Assad, espellendone addirittura gli ambasciatori da Roma. Con questi paesi vi era un ottimo interscambio commerciale, soprattutto nel settore petrolifero, ma nel giro di pochi anni è stato tagliato anche questo prezioso approvvigionamento. L’ultima, ulteriore dèbâcle potrebbe essere rappresentata dal rischio di perdere il progetto italo- russo del gasdotto South-Stream, osteggiato dagli USA e dall’UE  in favore del progetto tutto filoccidentale del Nabucco (la portata di gas è di 60 miliardi di metri cubi/anno per il primo, contro 30 miliardi di metri cubi/anno del secondo).

Queste ultime righe sono davvero molto esemplificative per illustrare la deficienza italiana. Siamo come il famoso vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di vasi di ferro. Chi è senza sovranità non può avere una propria visione geopolitica delle relazioni internazionali. La nostra posizione ci colloca nella Mitteleuropa, inglobati nell’Eurasia e naturalmente nel Mediterraneo ma non riusciamo a decidere nessuna strategia indipendente di politica estera in questi contesti. Ogni volta che qualcuno ha la brillante idea di prendere un’iniziativa autonoma, viene soffocato. E non è una questione di destra o sinistra, di essere filo atlantici o filosovietici. Siamo una colonia, è un dato di fatto. Chi non è padrone del proprio destino è destinato a rimanere servo.

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