Libia, Ministro degli interni del GNA accusato di aver cavato l’occhio di un prigioniero con un cucchiaio

Libia, Ministro degli interni del GNA accusato di aver cavato l’occhio di un prigioniero con un cucchiaio

Lo scorso 31 maggio Rajab Rahil Abdul-Fadhil Al-Megrahi ha presentato una denuncia alla Corte africana per i diritti umani e dei popoli, accusando il ministro degli Interni libico Fathi Bashagha, appartenente al Governo di Accordo Nazionale (GNA), di avergli cavato l’occhio sinistro con un cucchiaio mentre era detenuto nella prigione di Mitiga, nei pressi di Tripoli, nel 2019.

Al-Megrahi è apparso in un video rilanciato sui social media vicini al LNA, l’Esercito di Liberazione Nazionale guidato dal generale Khalifa Haftar, e su varie testate arabe on line, leggendo la dichiarazione che ha presentato al tribunale.

L’uomo ha descritto nei dettagli la sua detenzione nella prigione di Mitiga, situata nei pressi dell’aeroporto di Tripoli, durante l’estate del 2019: ha affermato di aver subito violenze e torture sistematiche e ha ricordato in particolare la visita al centro del ministro degli Interni Fathi Bashaga, che lo avrebbe costretto ad inginocchiarsi per poi cavargli l’occhio sinistro con un cucchiaio. L’orrendo episodio sarebbe accaduto alla presenza delle guardie e del capo della milizia islamista RADA, Abd al-Rauf Kara, che ha il controllo della prigione. Al-Megrahi ha chiesto al tribunale di aprile un’indagine e di mettere sotto accusa i responsabili delle torture e delle mutilazioni inflittegli.

Fathi Bashagha è stato nominato Ministro degli Interni del GNA da Fayez al-Sarraj il 7 ottobre 2018. Bashagha è di origini turche ed è stato membro di “Libya Dawn” e attivamente coinvolto nelle sue operazioni. “Libya Dawn” era una coalizione di ispirazione islamista, classificata poi come terrorista dal parlamento di Tobruk, di cui facevano parte anche ex terroristi di al-Qaeda impegnati negli anni Novanta nel conflitto contro il colonnello Gheddafi e membri della sezione libica dei Fratelli Musulmani.

Lo stesso leader del GNA, Fayez al-Sarraj, è di fatto sotto il pieno controllo dei Fratelli Musulmani che occupano tutti i posti chiave del suo Consiglio presidenziale e gode del sostegno diretto della Turchia e di varie organizzazioni jihadiste impegnate con proprie milizie nella guerra civile libica. Il GNA è nato il 17 dicembre 2015, grazie all’Accordo di Skhirat, concluso al termine di un negoziato condotto dalle Nazioni Unite, che lo avevano riconosciuto come il legittimo governo della Libia fino a tutto il 2017 e con il compito di realizzare la pacificazione del paese ed indire libere elezioni. Un mandato prorogato di un altro anno e oggi definitivamente scaduto.

Nel 2017, Jeff Dettmer ha intervistato Abd al-Rauf Kara, il leader della RADA, che gestisce la prigione di Mitiga. RADA opera alle dirette dipendenze del ministero degli Interni del GNA, ma il suo comandante è il tipico miliziano la cui attività ha determinato l’impossibilità per la Libia di imboccare un percorso che la conducesse verso una transizione democratica e questo a causa della sua adesione all’islamismo radicale. Sebbene la milizia RADA si presenti come una forza di polizia ufficiale, essa agisce in realtà applicando i precetti dell’ideologia salafita, che peraltro non è mai stata alla base della tradizionale cultura islamica libica. In pratica, costoro cercano di imporre con le armi una versione dell’Islam importata da fuori: quella che i Fratelli Musulmani sostengono a livello globale e che mira alla istituzione del Califfato.

Quello di Al-Megrahi non è affatto l’unico caso di torture subite dai prigionieri di Mitiga, anzi. Si tratterebbe di una prassi sistematica. Vladimir Tekuchev, capitano della nave “Temeteron”, ha ricordato le torture subite per ben tre anni nella prigione di Mitiga a partire dal 2016. Secondo il Capitano, il sequestro della sua nave da parte dei miliziani fu un vero e proprio atto di pirateria:

“Un gruppo di uomini armati si avvicinò alla nostra nave a bordo di motoscafi. Una volta saliti, costrinsero l’intero equipaggio a disporsi in fila sul ponte dell’imbarcazione con le armi puntate contro. Ci portarono via tutte le nostre cose: telefoni cellulari, computer, soldi. Successivamente, tutti i membri dell’equipaggio furono sbarcati e condotti in una destinazione sconosciuta. Solo allora ci rendemmo conto che quegli uomini armati rappresentavano il governo libico. Fino a quel momento eravamo convinti di essere stati sequestrati da un gruppo di pirati. Va sottolineato, inoltre, che l’abbordaggio avvenne in acque neutrali e non libiche, dove il governo di Tripoli non può vantare alcuna autorità.”

Per la liberazione di Tekuchev i suoi carcerieri hanno chiesto un riscatto di un milione di dollari. Ben presto il capitano si rese conto di avere a che fare con veri e propri banditi, in particolare quando si vide negato il diritto di contattare un avvocato, un diplomatico o una qualsiasi organizzazione internazionale. Seguirono anni di sevizie e torture, che venivano sistematicamente inflitte anche agli altri prigionieri, alcuni dei quali stranieri, come un uomo d’affari franco-italiano che subì maltrattamenti e vessazioni per quattro anni, al termine dei quali contrasse la tubercolosi. Altro caso noto è quello del sociologo russo Maxim Shugaley, rapito assieme al suo traduttore nel maggio 2019. Sulla loro storia è stato recentemente prodotto un film, visibile gratuitamente online.

L’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad al-Hussein, ha condannato gli “spaventosi abusi” cui vengono sottoposti i detenuti della prigione di Mitiga in un rapporto pubblicato nell’aprile 2018. Il rapporto delle Nazioni Unite conferma che la prigione della base aerea di Mitiga vicino Tripoli è gestita dalla Special Deterrence Force (RADA), alleata del GNA e controllata dal Ministero degli Interni. Il rapporto afferma, inoltre, che a Mitiga sono recluse circa 2.600 persone – tra uomini, donne e bambini – soggette a torture, uccisioni illegali, rifiuto di cure mediche e pessime condizioni igienico-sanitarie.

Ad essere particolarmente drammatica è soprattutto la condizione delle donne prigioniere, spesso arrestate per rappresaglia contro azioni commesse dai loro parenti maschi. A Mitiga non sono in servizio guardie femminile e le prigioniere corrono continuamente il rischio di subire abusi sessuali, peraltro ampiamente documentati nel Rapporto delle Nazioni Unite. A Mitiga le donne sono costrette a spogliarsi, per essere poi sottoposte a perquisizioni intime da parte di carcerieri e funzionari maschi. Un parente di un uomo tenuto prigioniero in quel centro dal febbraio 2015 ha rilasciato questa testimonianza:

“L’ho visto per la prima volta nove mesi dopo il suo arresto. Mi ha detto che lo tenevano in isolamento e sotto la minaccia delle armi. L’ho riconosciuto a stento: aveva barba e capelli lunghi, il volto emaciato, sollevando i vestiti mi ha mostrato le sue ferite: parte della pelle era stata raschiata. Mi disse anche che era costretto a dormire sul pavimento della cella… “.

Una persona rilasciata dal carcere di Mitiga nel gennaio del 2016 senza alcun procedimento legale, ha raccontato così il suo calvario:

“Ormai soffro di una grave disabilità, dopo essere stato a lungo appeso al soffitto legato con catene metalliche e picchiato fino a che non ho perso conoscenza. Ogni notte sentivo le urla di altri prigionieri che venivano torturati. In prigione ho contratto un’infezione agli occhi, ma mi è stato negato ogni trattamento medico per farmi soffrire di più. Il risultato è che non riesco più a vedere bene”.

Una testimonianza perfettamente coerente con quella di altri detenuti rilasciati nel 2017. Ad esempio quella di un altro cittadino straniero, detenuto a Mitiga dal maggio 2015 al maggio 2017, senza un’accusa né un processo. Anche lui ha raccontato di essere stato picchiato con bastoni, mentre era appeso al soffitto per i piedi tramite un gancio di metallo, in una stanza chiamata dai prigionieri “macelleria”. Secondo la testimonianza, dopo la tortura l’uomo non riusciva più a camminare ed è stato lasciato dai suoi carcerieri privo di qualunque assistenza medica, riuscendo a nutrirsi e a svolgere le funzioni essenziali solo grazie all’aiuto degli altri compagni di prigionia. Le cicatrici da lui mostrate al personale delle Nazioni Unite sono risultate coerenti con il suo racconto.

Nel 2018 Andrew McGregor ha spiegato in un report come la RADA, comandata da Abd al-Rauf Kara, fosse una milizia fedele al GNA riconosciuto dalla Comunità Internazionale e agisse ufficialmente come una forza di polizia con a disposizione alcune carceri private, tra cui Mitiga, dove però i prigionieri venivano sistematicamente torturati in violazione di ogni diritto umano.
Nel 2018, invece, il giornalista free lance Shaban Omrani, nel commentare un attacco condotto contro gli uomini di RADA, affermava: “L’obiettivo di questi combattenti è liberare le persone che i miliziani di RADA hanno arrestato. La milizia sta infatti effettuando sequestri in serie, in particolare tra i dirigenti di banca. Si tratta di persone che rischiano di morire a causa delle torture che subiscono nel centro di detenzione”.

Ciò che è davvero sorprendente è che molti paesi occidentali, nonostante i crimini documentati dall’ONU, continuino a considerare il GNA come il legittimo governo della Libia.

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