Per un Meridionalismo sovranista

Per un Meridionalismo sovranista

Nel precedente intervento, con chiaro intento polemico, abbiamo affermato che il cd. “Meridionalismo” non ha mai avuto, da quando se ne ricorda l’esistenza,  una reale e concreta rappresentanza politica e che proprio il momento attuale potrebbe essere quello di una svolta in tal senso, con possibili protagonisti quei movimenti, gruppi, realtà che fanno proprie istanze identitarie e che difendono le specificità e la cultura del Sud Italia.

Perché ciò appare possibile, è presto detto: in Europa, la difesa dell’identità e delle specificità dei popoli e la rivendicazione, per questi ultimi, del diritto di poter “decidere” sovranamente su ciò che riguarda la propria terra, appare il concetto in nome di cui, negli ultimi mesi, si riproduce una contrapposizione puramente (e finalmente) politica, che è quella tra sovranisti e mondialisti. Da un lato vi sono i primi,  che ritengono l’Europa di Bruxelles una mera istituzione posta a difesa di interessi e privilegi che non sono quelli dei popoli (perlomeno non di tutti) che vi si riconoscono: coacervo di meccanismi burocratici e autoreferenziali alimentati da una visione del mondo che – in ultima istanza – appare quella della globalizzazione imperante, livellatrice delle differenze in nome dell’ideale astratto dell’uomo consumatore senza legami che non siano quelli con le merci. Dall’altro i mondialisti, che ritengono che la sovranità nazionale sia un concetto ormai desueto e che i processi di globalizzazione del mondo siano ineluttabili e vadano governati da istituzioni sovranazionali, spesso di natura tecnica, le sole capaci di amministrare i cambiamenti in essere. Per questi ultimi, le parole d’ordine giacobine e cosmopolite della libertà astratta, l’uguaglianza massificante e della fratellanza solidaristica e cosmopolita – con conseguente apertura delle frontiere al libero scambio di merci e persone –  vanno pronunciate e difese a tutti i livelli. Lampanti, per comprendere la posizione filo europeista, sono le parole del deputato europeo tedesco Ferber sul caso Italia. Quando l’elettorato italiano si è pronunciato a favore dei movimenti cd. sovranisti- populisti e si sono paventate per l’Italia possibilità di scelte economiche in contrasto con i diktat di Bruxelles, Ferber si è augurato l’intervento della Troika, che avrebbe dovuto invadere Roma così come fatto, con esiti mortificanti qualche anno prima, con Atene.

Di fronte a tale contrapposizione, che è molto più profonda a livello metapolitico di quanto appaia, perché ad essere minacciata dagli uni e difesa dagli altri non è solo la sopravvivenza dei popoli europei e del mondo, ma ogni naturale “identificazione” dell’essere umano di ostacolo alla massificazione e quindi al consumismo dilagante, perfino quella sessuale (si veda l’ultima polemica, ancora italiana, sul sacrosanto utilizzo dei termini padre e madre in luogo dei numeri 1 e 2 per indicare i genitori sui documenti di identità), noi riteniamo necessario schierarsi. E che lo si possa fare da meridionali in primis, poi da italiani e infine da Europei. Per la difesa, appunto, delle tradizioni, specificità e storie dei popoli del Sud, così come di quelle del Nord Italia e dell’Europa tutta.

Evidentemente – e per anni – il nostro Centro Studi ha auspicato la nascita di un’Europa dei popoli, di stampo imperiale, che difendesse le comunità che in essa si riconoscevano soprattutto dalle forze agenti dei processi di mondializzazione, rappresentati in armi dagli americani ma in ultima istanza dal capitalismo finanziario e dai grandi gruppi multinazionali di potere economico, più o meno legale. Questa Europa, appare chiaro, non è l’Europa di Bruxelles, e non poteva che essere altrimenti, essendo l’attuale unità europea sorta, a ben vedere, per iniziativa delle forze nazionali che  nei rispettivi paesi erano fondamentalmente favorevoli ai processi di mondializzazione e all’ideologia dell’identico ad essi sottesa. Nata simbolicamente (e su questo si rifletta) su una moneta, l’Unione europea è stata agente di impoverimento per molti paesi, tra cui il nostro, e acceleratrice dei processi di dissoluzione delle specificità comunitarie piuttosto che baluardo a difesa delle stesse.

Questa Europa è, di conseguenza, un nemico. Ben accetta è, quindi, un’alleanza fra chi la ritiene tale, pur nell’ottica del recupero della sovranità nazionale. Che, in ultima istanza, è concetto legato alla decisione politica per eccellenza, quella necessaria nel momento in cui il sistema – e l’insieme delle norme che lo sorregge – non riesce a dare più risposte efficaci, ovvero il momento dell’eccezione, parafrasando Carl Schmitt. E noi viviamo da anni – sostanzialmente – in un caso di eccezione permanente, in cui la Norma fondamentale che ha inteso e cercato di neutralizzare il politico (ovvero la possibilità di decidere in senso contrario a quello imposto dai poteri sovranazionali), è quella del pensiero unico finanziario e globalizzatore, che più che dare soluzioni ha moltiplicato i problemi.

In questo senso, la polemica sull’immigrazione che si è propagata dall’Italia al resto del continente, come già ribadito, e quello che ne è conseguito in termini di scelte politiche, hanno denudato il re europeo e hanno riportato il politico all’interno dei confini nazionali, grazie alla rivendicazione, appunto, della sovranità. Sovranità che va rivendicata anche dal Meridionalismo che verrà, se vuole farsi politico.

Con una importante precisazione. Non si tratta di difendere la sovranità nazionale – peraltro assai limitata – dello stato nazione che abbiamo conosciuto sino alla caduta del muro di Berlino. Non si tratta di difendere la Costituzione italiana – e sarebbe facile dialetticamente contrapporre questa difesa agli intellettuali del pensiero unico, che appena possono si riempiono la bocca con la Costituzione – che riconosce immediatamente, all’art. 1, che la sovranità appartiene al popolo. Non si tratta di ritornare a forme di sovranità delegate né a dichiarazioni di principio che rimangono astratte.

La sovranità nel senso sopra prospettato è una rivendicazione antisistemica che deve associare tutti coloro che ritengono, con Heidegger, che “tutto ciò che è essenziale e grande è scaturito unicamente dal fatto che l’uomo avesse una patria e fosse radicato in una tradizione”. In questo senso il Meridionalismo che si riconosce in questa visione – e non in quella “arancione” del De Magistris di turno, assolutamente mondializzatrice – ha finalmente la possibilità di farsi politico, perché mai negli ultimi trent’anni si sono aperti dei vuoti di rappresentanza politica così evidenti come sta accadendo oggi proprio al Sud, dove non appare pensabile che il Movimento 5 stelle – altamente frammentato al proprio interno – possa rappresentare istanze davvero sovraniste e identitarie. Che questi vuoti di rappresentanza si palesino ancora all’interno della forma dello stato nazione, ben venga. Che questo ritorno della politica possa essere rivendicato nelle forme della riappropriazione polemica della sovranità nazionale, pure.

Non è più tempo di dispute astratte o ideologiche sui rapporti tra Nord, Sud e stato nazionale. L’urgenza concreta è un’altra. Se vi sono forze pronte a raccogliere la difesa dell’identità e la battaglia contro ciò che rappresenta l’Europa di Briuxelles anche qui al Sud, si palesino. Diventino forza politica capace di dialogare con altri movimenti, in primis la Lega, che volenti o no – almeno in linea di principio – sta combattendo anche le nostre battaglie. E avvenga questo dialogo a livello europeo, con chi combatte la medesima battaglia, sia esso francese, austriaco, tedesco, greco, spagnolo, ecc. E si cominci a riflettere sulle forme di questo dialogo nell’orizzonte della concretezza. Una possibilità potrebbe essere certamente un’alleanza delle varie istanze identitarie europee, una lega delle leghe. Tra queste, quella meridionale. Ripartendo, e non appaia un ostacolo ma piuttosto una necessità storica, dallo stato nazione (magari con il Sud, all’interno di questo, organizzato in macroregione, come ultimamente proposto con acume da alcuni gruppi e comitati), per immaginare un’altra Europa, questa volta frutto del confronto tra soggetti nazionali e comunitari che abbiano chiaro cosa vada difeso e quale sia il nemico. Un’altra Europa,dove sia possibile sentirsi europei. Che ci permetta di restare italiani. Che ci permetta di restare meridionali.

 

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